Dal carapace della carrozzina
tendono un volto senza più espressione
nella grande sala dove uno schermo
riproduce immagini di scherno.
Masticano parole senza senso,
si assopiscono sul castello
sbilenco delle vertebre
dopo aver roteato gli occhi
in cerca di un familiare
che li accompagni in giardino
a sonnecchiare sopra una panchina,
a biascicare corone di frasi
evaporate tra le girandole
primaverili delle foglie,
inconsapevoli che presto dovranno
attraversare in silenzio, soli, la porta di un altro reparto.
Trittico del distacco (Passigli 2015) vince il Premio Selezione Ceppo per il perfetto equilibrio di una composizione in cui il tema dell’addio appare destrutturato e caricato di nuovo significato. Nel movimento delle tre parti, il trittico è composto sì da sezioni distinte ma, proprio come nella tradizione pittorica veneta, tendono a occupare lo stesso spazio: quello della conservazione degli affetti e della memoria delle cose in una zona di “confine” che solo la poesia sa disegnare. Un libro dunque corale, in cui i contorni fra l’io e gli altri sfumano in una crisi delle identità “normali” e dei fissi ruoli “parentali”: l’incontro con ragazzi down, ritardati, ebeti o malati, ma anche con un padre, un figlio, un cugino o una madre appare così dai lineamenti incerti e sfigurati nei sentimenti, tra passione e compassione, impotenza e commozione. E allora il distacco non è solo quello dell’io dagli altri, ma è anche il distacco dell’affresco in poesia da suo supporto murale autobiografico. (dalla motivazione di Paolo Fabrizio Iacuzzi).
“Per un terso versificare, dove le immagini del quotidiano sono trasfigurate in strumento di conoscenza. Di Palmo va alla ricerca delle identità, in un recupero dell’io nello smarrimento del presente.” (Dalla motivazione per la dozzina del “Premio Ceppo Selezione Poesia”)
“una manciata di poesie potentissime, dirette, in cui la crudeltà della malattia emerge nelle sue continue e inesorabili sottrazioni, quelle che fanno in modo che un figlio perda progressivamente suo padre quando questi è ancora vivo ma di una vita ormai diversa” (Francesco Tomada)
“In quel padre che diviene albero, «uno de quei alberi / che no gà più bisogno de niente», in quella perdita di nome e di parole intellegibili, in quella inconsapevolezza (XII, 7-8) della vita che si abbatte su di lui come sui suoi compagni, è come se si affermasse una legge di natura di cui l’uomo è solo una patologica – provvisoria – eccezione.” (Giancarlo Pontiggia, dalla prefazione)