Premio Letterario
Internazionale Ceppo Pistoia

6 Gennaio 2023

Michele Cocchi, pistoiese classe 1979, è scomparso il 31 dicembre, lasciando molti dei suoi amici e conoscenti sorpresi e addolorati. Aveva vinto il Premio Ceppo Selezione Proposte 2006


Era uno psicoterapeuta dell’infanzia e dell’adolescenza, e anche nella scrittura si rifletteva il suo mondo di esperienze e conoscenze dell’età giovane. Nel 2006 ha vinto il Premio Ceppo Selezione Proposte con il racconto La bambina dagli occhi di vetro: come scrive Paolo Fabrizio Iacuzzi nella motivazione riportata qui sotto, Michele Cocchi è stato fino ad allora (ma forse anche in seguito nella storia del premio) il più giovane scrittore a vincere il Premio Ceppo Selezione Proposte. E quello fu anche il primo premio da lui vinto: un grande talento narrativo che fin da allora emergeva. Il racconto era stato pubblicato dalla rivista pistoiese “Paletot” diretta da Massimo Baldi che negli anni ha contribuito a far conoscere e promuovere la letteratura a Pistoia e non solo.

Nella 50esima edizione del Ceppo, l’ultima della seria storica del Premio Nazionale Ceppo (presidente Leone Piccioni, Direttore artistico Paolo Fabrizio Iacuzzi) la terna finalista era composta da:Luigi Scardigli, “Giù a Nord. Lentamente”, Etruria editrice, Pistoia; Michele Cocchi, “La bambina dagli occhi di vetro”, pubblicato dalla rivista “Paletot” (Pistoia, anno I, n. 3, marzo 2004); Maria Beatrice Genovesi, “La cordata della memoria”, Editoriale Sometti. Vinse la Genovesi per un soffio su Cocchi. A questo proposito scrive Paolo F. Iacuzzi (dal Programma della 50esima edizione): “Michele Cocchi, Maria Beatrice Genovesi e Luigi Scardigli saranno votati da una giuria di giovani lettori, non prima di aver dato prova delle loro passioni intellettuali. Che senso ha continuare a ricordare i campi di sterminio sessant’anni dopo? Esiste ancora una differenza di caratteri e figure fra Nord e Sud d’Italia nella narrativa? Il racconto ha a che fare piuttosto con la poesia e il ritmo e con la pittura e il colore?”. Quest’ultima notazione sul rapporto tra racconto poesia e pittura era proprio quanto proponeva la scrittura del racconto di Cocchi.

Nel 2018 Michele si è aggiudicato la sezione narrativa del Premio Comisso (nella Giuria, tra gli altri c’è Benedetta Centovalli, giurata anche del Premio Ceppo) con La Casa dei bambini (Fandango, 2017). Nel 2020 è uscito Us(Fandango), confermando la sua vocazione al racconto di storie legate al mondo giovanile, tratteggiato nella sua complessità e in tutta la sua fragilità.

Con la sua scomparsa è venuto meno quello sguardo lucido e acuto e pieno di umana consapevolezza, uno sguardo che Cocchi aveva costruito in tanti anni di impegno sul lavoro con i bambini e sulle parole, riuscendo a rovesciare in letteratura un’esperienza vissuta fino in fondo con responsabilità e adesione.


Motivazione di Paolo Fabrizio Iacuzzi

Michele Cocchi, classe 1979, non è solo il più giovane partecipante di questa edizione ma è forse il più giovane scrittore selezionato per il Ceppo Proposte nella sua trentennale storia.

Questo valga a sottolineare come, al contrario, la scrittura di Cocchi non abbia niente di giovanilistico e cannibalesco, pur accennando a un fatto sconcertante: il presunto incesto di un padre nei confronti della piccola figlia autistica. La voce di Cocchi, che è studente di Psicologia all’Università, tratta  questo caso con tragico distacco, e si nutre più di sospensione della verità che di verità già pronta.

Il suo racconto ha già la potenza espressiva di colui che sa tessere una trama semplice nell’ordito ma dal ricamo difficile. Lo stile asciutto e rastremato, fino a farsi snervante per il segreto insopportabile che man mano viene alla luce,  fa della paratassi un’arte della miniatura smaltata in un segreto silenzioso, detto e non detto, sullo sfondo di una televisione accesa sulla quale scorre il contraltare, ben più insopportabile, della pubblicità.

Così tra reale e assurdo, fissità e movimento, “luce coatta” (per dirla con Celan) e in movimento, fra colori “invetriati” e plastiche fuse, tra un quadro di Vermeer e un’istallazione di Bill Viola, la cecità diviene metafora di doppie cecità, che non risparmiano nessuno. Tutto  il racconto si gioca infatti su quegli “occhi di vetro” che il titolo centra.  La doppia cecità della bambina che, al limite dell’afasia, si dondola su se stessa tirando in alto una macchinina e che non vede più nulla ma che “forse ha già visto tutto”. La doppia cecità della madre, cui il trucco impasta gli occhi quando si scioglie in pianto dopo il referto della presunta violenza, ma che non ha nemmeno il ricordo preciso e consolatorio del suo passato di bambina, perché la memoria è intrisa di oblio. La doppia cecità del marito, che tutto questo complotto del destino ignora, o che forse finge di ignorare e che non sa niente dell’imminente perdita della bambina e della donna, che ha deciso di portare la figlia altrove.

Alla fine, che cosa resta di questo labirinto senza scampo, fra Becket e Bernardt, dal quale una voce femminile e impietosa non ci lascia evadere? Resta il nostro essere frugati dentro le nostre stesse certezze morali, così come la telecamera di Cocchi fruga fra oggetti ed elettrodomestici nella casa, su cui grava una tragedia più grande di noi e che alla fine ci lascia più nudi che increduli.

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