14 Marzo 2023
Il Premio Letterario Internazionale Ceppo e Fenysia Scuola di linguaggi della cultura IN OCCASIONE DELLA GIORNATA MONDIALE DELLA POESIA presentano DIALOGO SULLA POESIA. Partecipano Sergio Givone, Massimo Onofri, Paolo Fabrizio Iacuzzi, Pierpaolo Orlando. Firenze, lunedì 20 marzo 2023, ore 17.30 – Saletta incontri Joyce Lussu (ex Emeroteca). Biblioteca delle Oblate, via dell’Oriuolo 24, 50122 Firenze
In occasione della giornata mondiale della poesia, lunedì 20 marzo alle ore 17.30 nella Saletta incontri Joyce Lussu della Biblioteca delle Oblate di Firenze (via dell’Oriuolo 24) avrà luogo l’incontro “Dialogo sulla poesia”.
L’evento è organizzato da due importanti realtà culturali: il Premio Internazionale Ceppo, diretto da Paolo Fabrizio Iacuzzi, e Scuola Fenysia, diretta da Pierpaolo Orlando, che da anni si occupano della promozione della poesia rivolta in particolar modo alle giovani generazioni attraverso la scoperta di giovani poeti, lecture scritte a partire da parole chiave per un ideale dizionario in progress, rubriche e incontri per parlare di poesia, con la voce dei maestri del passato e con quella dei poeti di oggi.
Il dialogo, al quale partecipano oltre a Iacuzzi e Orlando, Sergio Givone, uno dei maggiori filosofi del nostro tempo, e Massimo Onofri, uno dei maggiori critici militanti, intende affrontare attraverso la proposta di parole chiave una discussione sul tema del ritorno, in senso ampio: ritorno nei luoghi natii, ritorno come ricordo delle emozioni vissute, delle persone incontrate, perché il ritorno ha a che fare con uno spostamento, un movimento alla ricerca.
Sarà anche l’occasione per tornare a parlare di due recenti volumi editi da Interno Poesia: di Iacuzzi “Peste e guerra. La poesia non salverà la vita”, 40 anni di scrittura e meditazione sulla poesia; di Orlando “Per ogni nome una poesia”, l’esordio di un poeta che della riflessione sulla poesia ha una lunga esperienza.
La partecipazione è gratuita ed è consigliata la prenotazione contattando la Biblioteca al numero
055 2616512 o all’indirizzo bibliotecadelleoblate@comune.fi.it
Il Premio Internazionale Ceppo (da quasi 30 anni sotto la direzione di Paolo Fabrizio Iacuzzi) ha premiato nel corso di quasi 70 anni molti grandi poeti italiani e internazionali, ha scoperto il talento di giovani poeti e riconosciuto in anticipo quello dei maggiori di oggi. Anche quest’anno con il “Ceppo Poesia Internazionale Piero Bigongiari” (tra i fondatori con Luzi e Betocchi del Premio) e con il “67° Ceppo Biennale Poesia” promuove presso le scuole secondarie di I e II grado di Pistoia e Firenze incontri con i poeti e laboratori didattici di commento alle poesie dei vincitori in dialogo con loro, e i migliori elaborati vengono premiati con buoni libro da spendere nelle librerie. I poeti, compresi giovani under 35, scrivono a loro volta delle lecture sulla poesia spesso a partire da parole chiave che ne definiscano in sintesi i fondamenti, per un ideale dizionario in progress. Le più recenti possono essere lette sul sito della rivista on line “SuccedeOggi”.
Fenysia scuola di linguaggi della cultura fondata nel 2017 ha dedicato molte delle sue iniziative alla poesia. Nel 2022 a cura di Pierpaolo Orlando è nato Il “Carosello della poesia”, rubrica settimanale sul canale social Instagram di Fenysia, per parlare di poesia, con la voce dei maestri del passato e con quella dei poeti di oggi, di un tema, il ritorno, che ancora ben rappresenta il mondo che stiamo vivendo, quello della ricerca di figure e luoghi della nostra appartenenza a cui fare ritorno. La rubrica è stata inaugurata proprio da Iacuzzi a cui sono seguiti Alberto Cristofori, Ilide Carmignani, Silvio Raffo, Wlodek Golkorn, Nicola Gardini, Marcello Fois. Nei mesi di novembre e dicembre Fenysia ha organizzato alcuni incontri alla Biblioteca delle Oblate con Nicola Crocetti, Patrizia Valduga, Vivian Lamarque.
10 Dicembre 2022
“Quando si scrive poesie non si soffre”. “Peste e guerra” è l’ultimo libro di Iacuzzi, raccolta di versi dal 1982 al 2022: “Molti sono dedicati ai miei maestri, e anche a Luca Iozzelli”. Intervista di Linda Meoni, “La Nazione2, 10 dicembre 2022.
La poesia non chiede comprensione. Chiede trasporto, interrogazione continua della verità, per avvicinarsi almeno un po’ a un’idea di salvezza. E il poeta? È come se fosse attraversato da un virus: “Uno scrive perché si ammala. Quando arriva la poesia, tu ne subisci l’influenza, è un altro che parla. E’ una dimensione del silenzio perché, quando si scrive, non si soffre. Il momento dello scrivere è un momento di grazia, di guarigione”. L’occasione della riflessione per Paolo Fabrizio Iacuzzi, poeta ed editor nonché direttore del Premio letterario Ceppo, la offre il suo nuovo libro “Peste e guerra. La poesia non salverà la vita” (Interno poesia, 2022), raccolta di versi scelti prodotti nel periodo 1982-2022 più alcuni inediti – come ‘Requiem’, dedicata a Luca Iozzelli –, che si arricchisce di un’ultima parte in forma d’intervista fiume condotta da Michele Bordoni a Iacuzzi.
Questo libro raccoglie quarant’anni di poesia: è per lei un bilancio?
“Lo chiamerei rilancio. Una messa in piega dei propri versi cercando quelle chiavi che possano aprire a una loro comprensione. Spesso si guarda il libro, ma non la successione dei temi che ricorrono. Come lo è per me la bicicletta, ora reale – perché la mia poesia nasce sempre da un’esperienza specifica –, ora no, al punto di parlare quasi di autofiction. Dentro ci sono tante poesie dedicate ai miei maestri, Guccini, Bigongiari, Carifi, Giudici. C’è Luca Iozzelli, che io trasformo in un mio alter ego, il signore del Ceppo”.
Quanto è difficile scrivere e fare libri, in particolare poesia?
“Chi scrive ha bisogno di trovare la propria voce. Io prima di aver fatto certe esperienze che hanno rivoluzionato la mia vita non ero pronto. Penso a quella in Caritas nel 1989, dove rimasi per due anni: da lì ho tratto un’umanità corale, un senso degli ultimi che prima non possedevo. E poi serve tempo, anche il montaggio è importante, è il risultato di una costruzione che si compie dentro di te. Una singola poesia per me ha significato soltanto se è dentro una cornice. Del resto Pistoia è la città dei racconti e della poesia in forma di racconto. Ne sono la prova le cento figure del Fregio, l’Altare d’argento in Duomo, il Pulpito di Sant’Andrea… Pistoia è la città delle narrazioni in poesia. In un mio libro futuro mi piacerebbe per esempio attraversare l’Altare d’argento, compiere un processo utile a inquadrare il mio vissuto. La poesia pensa, diceva Bigongiari, ovvero la poesia è un’esperienza sensibile e corporale. È un corpo a corpo con la mia vita, con la realtà, con gli altri che ti entrano dentro e tu elabori questa intersezione che si genera”.
A proposito di libri da scrivere, c’è già qualche indizio sul prossimo, il settimo…
“Immagino che si chiamerà ‘Fiabucce’ per sottolineare l’impossibilità di edificare delle favole. Sono l’occasione per riattraversare questa pandemia sotto gli occhi dell’infanzia e degli adulti, raccontando anche la speranza. Ecco, in qualche modo sta qui la salvezza: nella stessa sopravvivenza”.
9 Dicembre 2022
MILANO – A “Peste e Guerra” il nuovo Premio Bigongiari Arte Luce Poesia istituito dall’artista Marco Nereo Rotelli – 13 dicembre 2022 18:30 – Studio Art Project Via M.F. Quintiliano 24/A Milano
Ricordare attraverso un Premio la figura di Piero Bigongiari è rendere omaggio a uno dei più grandi poeti del Novecento, con la sua decisiva forza creativa e la sua sapienza critica, che ne fecero anche un lettore straordinario di poeti e movimenti poetici, come Leopardi e Ungaretti. Ma un aspetto forse non sempre puntualizzato è che Bigongiari fu anche un raffinato studioso d’arte, soprattutto a lui è da far risalire la ‘scoperta’ e la valorizzazione del Seicento pittorico fiorentino, o l’attenzione ad artisti novecenteschi come Morandi o Morlotti, tanto che la sua casa divenne anche un prezioso patrimonio di opere d’arte. Ma nella sua generosa e sapiente analisi dell’arte sua contemporanea, ci fu anche attenzione per giovani artisti, uno di questi fu senz’altro Marco Nereo Rotelli, con il quale stabilì un rapporto virtuoso, pressoché amicale, fatto di numerosi incontri e di comuni progetti. Lo stesso Rotelli si è fatto promotore di iniziative finalizzate a perseguire lo studio e il ricordo dell’opera del poeta fiorentino: rientra in questo ambito il Premio intitolato “Piero Bigongiari. Arte Luce Poesia”, da assegnare annualmente a due poeti che, con i loro libri, abbiano evidenziato forza linguistica e creativa uniche nel rapporto tra poesia e pensiero, a prescindere dai legami da loro avuti con lo stesso Bigongiari, o, nel caso di giovani poeti, non avendolo neppure conosciuto.
La prima edizione si svolgerà il 13 dicembre 2022, giorno di Santa Lucia, giorno della luce, a Milano presso lo studio di Art Project dello stesso Marco Nereo Rotelli, denominato il “Maestro della luce”, e verranno premiati Paolo Fabrizio Iacuzzi e Loretto Rafanelli, poeti che hanno dato lustro e sostanza alla poesia italiana attuale con i loro recenti libri: Iacuzzi con l’antologia Peste e guerra (Interno Poesia) e Rafanelli con la raccolta A ogni stazione del viaggio (Jaca Book). Peraltro i due poeti sono stati in relazione con Piero Bigongiari, il primo curando molti suoi libri e promuovendo il suo magistero con il Premio Internazionale Ceppo, il secondo riconoscendone il ruolo di Maestro e contribuendo alla diffusione della sua poesia.
Nell’ambito dell’evento dedicato alla figura di Piero Bigongiari, oltre alla Sezione Poesia, viene dedicato uno spazio anche al binomio Poesia e Musica, con un Premio Speciale da assegnare a un musicista che ha compiuto nelle proprie composizioni una profonda ricerca rispetto non solo ai suoni ma anche ai testi. Per questa prima edizione il riconoscimento va ad Alberto Fortis (già vincitore quest’anno del Leone d’oro alla carriera per meriti artistici), in quanto, oltre alla necessaria attenzione alla sua luminosa attività, nel disco “Fragole infinite”, esprime un livello artistico molto alto, con una virtù compositiva unica e un prezioso legame con la tradizione musicale, ciò attraverso la lezione sempre attuale dei Beatles, specie alla celeberrima Strawberry Fields Forever.
Il Premio consiste nella consegna di un’opera di Rotelli, pensando che la stessa manifestazione divenga annualmente una sorta di festa della poesia, con la partecipazione di poeti, di amici del grande fiorentino, di addetti ai lavori, di pubblico amante della poesia.
La serata sarà introdotta da Marco Nereo Rotelli e dal critico Luca Cantore D’Amore, seguiranno gli interventi degli artisti. Premierà Roberto Mussapi, che di Bigongiari è uno dei poeti che più da vicino ha raccolto e proseguito la sua eredità.
Vincitori Poesia Edizione 2022
PAOLO FABRIZIO IACUZZI Per il libro “Peste e guerra. La poesia non salverà la vita” (Interno Poesia)
LORETTO RAFANELLI Per il libro “A ogni stazione del viaggio” (Jaca Book)
ALBERTO FORTIS Premio Speciale Musica & Poesia per il disco “Fragole infinite”
Intervengono
Roberto Mussapi, Luca Cantore D’Amore, Marco Nereo Rotelli
rsvp: art.project@marconereorotelli.it
6 Novembre 2022
FIRENZE – Palazzo Medici Riccardi – Via Cavour
GIOVEDì 10 NOVEMBRE ORE 17.30
Filiberto Segatto e Michele Brancale
PISTOIA – Libreria Lo Spazio – Via Curtatone e Montanara 20
VENERDì 11 NOVEMBRE ORE 18.00
Filiberto Segatto e Augusto Iossa Fasano
presentano il libro di
Paolo Fabrizio Iacuzzi
PESTE E GUERRA
La poesia non salverà la vita
(Interno Poesia 2022)
Giovedì 10 novembre 2022, nella Sala Oriana Fallaci di Palazzo Medici Riccardi (con ingresso in via dei Ginori 8, alle ore 17.30, la consigliera delegata alla Cultura Letizia Perini, Filiberto Segatto e Michele Brancale presentano, con l’autore, il nuovo libro dello scrittore.
Venerdì 11 novembre 2022, nella Libreria Lo Spazio di Pistoia, alle ore 18.00 l’assessore alla Cultura e all’Istruzione di Pistoia Benedetta Menichelli, Filiberto Segatto e Augusto Iossa Fasano presentano, con l’autore, il nuovo libro dello scrittore.
Poesia come malattia virale, rivolta e ribellione del linguaggio alle imposizioni di potere che lo attanagliano. Ma anche poesia come storia sotterranea degli esclusi, dei vinti, dei sommersi, dei diversi, dei caduti in mare a poche miglia dalla meta. Come il timoniere di Enea, Palinuro, la sua tomba inquieta: come Io, la ninfa che si “leva” e si staglia contro la violenza che la calpesta. “Peste e Guerra. La poesia non salverà la vita” è l’inedito viaggio con una bicicletta Bianca, immagine di resistenza o meglio di resilienza di una scrittura poetica nell’arco di quarant’anni: dalla guerra di Bosnia a quella dell’Ucraina, dall’Aids al Covid-19, dalla violenza alla discriminazione sessuale. Paolo Fabrizio Iacuzzi concepisce la sua bicicletta come fosse la nave Argo, assemblando e smantellando brandelli della sua poesia e della sua esperienza intellettuale, trasfondendo il suo sangue e quello della sua famiglia dentro la Storia: una sorta di autofiction epica e corale. Un libro Arlecchino, un libro Frankenstein: una prima parte composta da versi scelti dalla vasta produzione di uno dei maggiori poeti della sua generazione e una seconda che mette in scena il dialogo con il suo interlocutore-curatore-inquisitore, il giovane poeta Michele Bordoni. Non un monologo, non la storicizzazione di una carriera poetica giunta al suo punto di massima altezza. Semmai una restituzione al mondo della voce che, prima inspirata, viene ora espirata nella condivisione e nel contagio dei valori della poesia, del potere delle immagini e della forza dei colori. Una celaniana “svolta del respiro” che non salverà la vita solo perché il suo compito è quella di renderla possibile.
Tribunale delle Ortensie Giorni vicini al solstizio d’estate. Nel Piano di Furia Ficcate nel suolo le Annabelle. Le bianche idrangee Per giudicare il corpo. Quel suo corpo infilzato da Per quelle tavole di anatomia che avrebbe redatto Palinuro Mariupol Palinuro l’amico d’infanzia. Trasfuso in noi Fosse comuni e lapidi non scritte. Mai erette di stragi dalla Bosnia. Per le donne che una Col nostro cuore indomito. Mentre passa lei. |
“Si capiva fin da subito che l’intervista si fosse già trasformata in qualcosa di più, quasi in un teatro dove le figure dei due personaggi diventano altro, protagonisti di una tela o di un quadro d’antan.” (Michele Bordoni, dall’introduzione)
“Nonostante il volume sia composto di testi selezionati dalle sei precedenti raccolte, alle quali si aggiunge una settima sezione inedita, non è tuttavia un’antologia. A tutti gli effetti è, invece, una nuova rapsodia epico-lirica, che fa tutt’uno con prefazione e dialogo e che, perciò, rinnova e dilata fino all’auto-epistemologia il modo di costruzione del libro e lo stile compositivo del verso, tipici da sempre dell’autore pistoiese.” (Gabrio Vitali, “Il Manifesto”) “Componimento unico, unico ecosistema ogni volta straziato e consolato; fotografia d’un moto incoercibile che i versi ha sbriciolato in trucioli crepuscolari, in cesure-punti-cicatrici, reso le parole e i sintagmi tessere di mosaico recuperate ai fanghi del tempo, alle distruzioni, alle rovine, alle infamie della vicenda umana, e rimontate sbieche. Qui si va avanti a frasi mozze come colpi di vanga che scavano la fossa, per la sepoltura e/o per la riesumazione, per tutte e due le cose insieme.” (Angelo Airò Farulla) “La tensione gnoseologica fondamentale della poesia di Iacuzzi possiede sempre una sfumatura metafisica, per cui la reale risoluzione delle diversità sociali è possibile soltanto nell’eschaton, nei tempi ultimi. Metafisico e a tratti surrealistico è il linguaggio che, ancora, cresce sul contrasto e sulla diffrazione.” (Alberto Fraccacreta, SuccedeOggi) “Si tratta di una sorta di unicum, di un procedimento personalissimo e anomalo, le cui ascendenze storiche e letterarie diventano di non sempre facile decrittazione, ricche come sono di criptocitazioni, quasi si trattasse di un elenco di geroglifici che solo un illuminato Champollion sarà in grado di interpretare tramite la rivelazione della stele di Rosetta.” (Pasquale Di Palmo, “Ytali”) |
Paolo Fabrizio Iacuzzi vive tra Firenze e Pistoia, dov’è nato nel 1961. Nel 1996 ha pubblicato Magnificat (I Quaderni del Battello Ebbro); nel 2000 Jacquerie (Nino Aragno Editore); nel 2005 Patricidio (Nino Aragno Editore); nel 2008 Rosso degli affetti (Nino Aragno Editore); nel 2016 Pietra della Pazzia (Giorgio Tesi Editore); nel 2018 Folla delle vene. Il museo che di me affiora (Corsiero Editore); nel 2020 Consegnati al silenzio. Ballata del bizzarro unico male (Bompiani Editore). La silloge Fiabucce per una madre è pubblicata nell’antologia Sospeso respiro. Poesia di Pandemia, a cura di Gabrio Vitali (Moretti & Vitali 2021). È presente in diverse antologie ed è tradotto in altre lingue; nel 2021 è stata pubblicata in francese la sua antologia Le Pavillon vert et autres poèms (Voix Vives – Al Manar). Sito web: http://www.paolofabrizioiacuzzi.it
15 Ottobre 2022
Rassegna – La recensione di Gabrio Vitali a “Peste e Guerra” uscita su “Il manifesto” il giorno 15 ottobre 2022. Versione completa
La guerra e la peste, le costanti antropologiche dell’epoca e della storia nelle rapsodie di Paolo Fabrizio Iacuzzi
«Il tempo di guerra e la guerra del tempo. Il tempo / della peste e la peste in tempo. Perché si intrecciano / da sempre e fanno nodo». Questi suoi versi non compaiono nell’ultimo libro di Paolo Fabrizio Iacuzzi, ma rappresentano la chiave di volta tematica che sostiene tutte e sette le arcate di poesia che lo costituiscono, insieme all’efficacissima introduzione di Michele Bordoni e al denso dialogo di poetica che questi vi conduce con l’autore. Peste e guerra. La poesia non salverà la vita (Interno Poesia, 2022; pag, 288, euro 18) nonostante sia composto di testi selezionati dalle sei precedenti raccolte, alle quali si aggiunge una settima sezione inedita, non è tuttavia un’antologia. A tutti gli effetti è, invece, una nuova rapsodia epico-lirica, che fa tutt’uno con prefazione e dialogo e che, perciò, rinnova e dilata fino all’auto-epistemologia il modo di costruzione del libro e lo stile compositivo del verso, tipici da sempre dell’autore pistoiese. Rapsodie, appunto, i suoi libri si succedono come opere, conchiuse dal lato strutturale-compositivo e coerenti da quello metrico-stilistico, che si propongono, a loro volta, come parti di un’unica grande rapsodia dai toni musicali avvolgenti e pacati, dove la poesia fonde autobiografia e storia civile, spietata «autobiopsia» del soggetto e compatita antropologia della società, in un legame religioso che accoglie e rivela, per ogni pur minimo e umile anfratto, la sacralità della vita e, insieme, la restituisce alla morte.
Il nuovo libro compendia, esemplifica e riavvolge questo lungo processo compositivo e ne rimarca, illuminandole, le cifre essenziali. In esso, come scrive Michele Bordoni, peste e guerra sono «le costanti antropologiche che instaurano un campo di tensioni e di energie, un vortice, una spirale poetica che struttura tutta la produzione di Iacuzzi», rivelandola come «un vero e proprio Weltschmerz che trova nei suoi versi una conformazione unica e originale nel panorama contemporaneo e non solo». Per trattare poeticamente questa complessa materia di un sentire corale disciolto nel proprio sentire e farne rapsodia, l’autore ricorre a tecniche della scrittura e a mnemotecniche del pensiero che gli consentono di proporsi in una poesia fortemente strutturata sia nella prosodia – cioè nell’intonazione e nel ritmo – della lingua adottata, sia nella metrica e nella sintassi di ogni singolo testo. Importa, anzitutto, l’impianto paratattico della frase all’interno del verso che sortisce da un lato un procedere pacato e uguale del tono, senza variazioni in crescendo e senza abbassamenti di troppo rilievo, e dall’altro lato una sorta di parificazione degli assunti di contenuto in una comune scala di valore. Unita a un registro linguistico uniforme, costruito sulle parole usuali e sulle espressioni quotidiane di un parlato (molto) coltivato, la paratassi conferisce ai versi l’essenzialità gnomica e definitiva tipica di un giudizio o di un proverbio. In questo modo Iacuzzi si prova, come afferma lui stesso, a scardinare «il concetto stesso di poesia come lirica per farne romanzo, teatro, autoritratto con figure, oralità di pensiero devastante e spiazzante, epica della mente».
E nei testi proposti in questa raccolta, naturalmente, è evidenziata l’opera generativa e germinale dei mitologemi originari che fondano e irradiano la sua poesia. Innanzitutto, la bicicletta Bianca (mezzo di trasporto e nome della nonna materna), figura-simbolo che produce e cadenza i movimenti e le soste della memoria nella storia personale e famigliare nelle sue interconnessioni con quella epocale e corale; la vita a quadri, immagine figurale che, come nelle scenografie sul lenzuolo di un cantastorie medievale, definisce lo sfondo cromatico (bianco, blu, giallo, rosso, rosa, verde e, forse, arancione) su cui si innesta la sceneggiatura di ciascuna raccolta e delle sezioni di quest’ultima; e infine la costruzione di correlativi oggettivi e immagini transazionali, a partire da un’etimologia inesauribile e fantastica del proprio nome, Iacuzzi, che va da Iac a Jacquerie e su, su, parodiando, fino alla marca famosa di vasche d’idromassaggio o “esoticando” fino allo sŵahili jahazi o al serbo-croato camac, entrambi per barca. Questi mitologemi generano quindi figure, oggetti e movimenti nei quali e coi quali la poesia di Paolo Fabrizio diventa un grande teatro, dove l’azione di protagonisti e personaggi si dipana in una drammatizzazione delle storie e s’inquadra in scenografie, con quinte e pannelli mobili, a simulare le variazioni di orizzonte e di paesaggio nella vita e nella storia. Alla ricerca poetica del «bene cucito al bene cucito al bene».
17 Settembre 2022
Parole in Clessidra – Incontro con Paolo Fabrizio Iacuzzi, 15 settembre 2022 a Portoferraio. Evento organizzato dalla libreria MardiLibri di Silvia Boano, in collaborazione con Lorena Provenzali.
È ancora Mardilibri, Giovedì 15 settembre, ore 18, ad animare Portoferraio con un evento dedicato ai versi di Paolo Fabrizio Iacuzzi, poesie tratte da “Peste e guerra – la poesia non salverà la vita” (Interno poesia) e da “Consegnati al silenzio – ballata del bizzarro unico male” (Bompiani) introdotte dallo scrittore Angelo Airò Farulla.
Sulle note di Susanna Di Scala, al violino, e Gabriele Ulivelli alla chitarra, l’ormai celebre format di presentazione ideato da Silvia Boano, questa volta porta in città un Autore che, come scrive Airò Farulla: “Presenta una scrittura in versi autentica perché elementare, caricata d’eredità personali e collettive; una scrittura dove la natura umana s’espone come su tavola anatomica, mostrando le bizzarre infiltrazioni di contagi psichici e biologici attraverso un dettato poetico censurato, piano, concentrato, intimo e silenzioso, che tutti i suoi morti rigenera e suscita nel presente, in un profetico, paradossale, partecipato, crudele teatro letterario.”
Angelo Airò Farulla
GENERAZIONE AUTOMATICA
Note sulla scrittura di Paolo Fabrizio Iacuzzi
Se questo libro mi è dettato non so.
(PFI, Campo di sopravvivenza)
Materia inerte che si trasmuta in materia vivente; materia vivente che genera materia inerte che genera materia vivente: è questa l’alchemica catena telescopica – da ultima cena, attraverso la quale Iacuzzi (crocifisso all’oscuro naufragio dell’opera sua, scorticato anatomico bello come una vespa, che dal Tutto tutto il male e tutto il bene cuciti insieme riceve) s’incatena scendendo di parola in parola, di verso in verso, di componimento in componimento, di libro in libro, e poi ancora risalendo di libro in libro, di componimento in componimento, di verso in verso, di parola in parola, in un pozzo di San Patrizio che tutto incardina e trascende e occulta, indifferente architettura bifronte.
Vanno per la doppia elica del pozzo parole senza alcun destinatario (e forse anche immacolate, senza autore), sganciate da ogni attributo della significanza, come reliquie in groppa a un asino, dove le reliquie son gli infiniti riverberi della scrittura di Iacuzzi, e l’asino è il lettore portatore d’un testo inesauribile che non può non rimanere alieno, ogni volta ignoto, altro come il prossimo suo, imprevedibile nelle sue epifanie telluriche.
La traccia dell’aver scritto, ovvero dell’aver percorso un circuito contemporaneamente aperto e chiuso, appare leggibile come strato geologico sommoventesi, sommosso, incantato nei corsi e ricorsi dell’opera-stratificazione geologica; componimento unico, unico ecosistema ogni volta straziato e consolato; fotografia d’un moto incoercibile che i versi ha sbriciolato in trucioli crepuscolari, in cesure-punti-cicatrici, reso le parole e i sintagmi tessere di mosaico recuperate ai fanghi del tempo, alle distruzioni, alle rovine, alle infamie della vicenda umana, e rimontate sbieche. Qui si va avanti a frasi mozze come colpi di vanga che scavano la fossa, per la sepoltura e/o per la riesumazione, per tutte e due le cose insieme. Le catene s’inanellano in frattali. Sintagmi come carte di divinazione estratte l’una dopo l’altra, o a mazzi tagliati, in combinazione infausta. Parole come vagoni di un treno di tradotta che scorre lento nella pianura. Tutto è detto, penetrato, scavato, disseppellito, abbandonato e poi lasciato all’aria, dove ancora viene divorato, rivoltato, spostato. L’esaurimento non consuma. […]
L’enjambement frequente, che come un amo o un ago talvolta cuce i versi tra loro, e allarga la scrittura in semicerchi concentrici di pietra gettata nello stagno, porta invariabilmente il verso su cui s’infilza a morire subito nel verso successivo; così che la legatura di portamento è in realtà soltanto un altro modo di troncare, di cavare il punto di giunzione degli emistichi, tra le ossa del verso – o altro modo d’indicare un improvviso, ritornante mutismo costruttivo. Ma anche la cesura, per parte sua, non è altro che un altro modo martellante d’unione; punto fermo come chiodo ribattuto conficcantesi nella carne, bisturi piantato in capo, alla ricerca della pietra della pazzia; antico rugginoso chiodo che nel presente ancora scende e cuce il testo come un tessuto; cesura che si trasfigura poi nello iato tra i nomi di Paolo e di Fabrizio, e quindi paraidealistica cesura-continuità, questa, alimentata da una specie d’araldica familiare, dalla consunzione di ritratti votivi fatti in cera gettati tutti insieme nelle fiamme del camino: antenati, amici, persone, organismi: tutto distrutto per rifonderlo nel presepio, in infinita catena di cento figuranti. Questa poesia genera le persone, evoca i morti, sbriciola mummie. Nella fagocitosi biologico-letteraria (postletteraria e mai postumana), campo di lavoro forzato per le cavie-parole, il padre si fa padre di sua madre e di suo padre, come già la Vergine fu madre e figlia di Suo Figlio. Le schiere dei morti-ortensie, la testimonianza da martiri per la scienza, la moltitudine delle folle; assembramento creatore d’individualità, d’unicità creaturali che patiscono, smaniano, ribollono.
L’andamento del verso, pur nella varietà delle forme, è sempre lo stesso nel corso degli anni: è un computo, unicità di dettato, aura vitalis, procedimento che accompagna una vita intera e che altre vite trascina con sé e smembra e consuma. Il verso contribuisce a rilegare – e religiosamente consegnare al silenzio – l’epica di una spiraleggiante discendenza in cadenza magico-rituale, ripercorsa e masticata in una riciclante, penombrosa ruminatio monastica. È questo forse il cuore del Libro (d’ogni libro del Libro di Iacuzzi) concepito come tale, e non come “raccolta di poesie”; libro di vita, breviario che raccoglie i suoi elementi, il suo gregge disperso; che unisce, lega, sviscera e trascende. La cesura è legame, e viceversa; cauterio che piaga e sana.
La convergenza allora si fa struttura, brodo primordiale caotico, catabatico, catatonico, casuale e causale, innervato d’insistenze degenerative che tutto giuntano, tutto creano, tutto distruggono, tutto trasformano.
Consegnati al silenzio (2020) ha quasi una struttura musicale, posta dietro o davanti a sé non importa, se apparsa all’inizio o alla fine dell’opera; comunque concettuale anche se inconscia: la sezione Spettrali riuniti è un’ouverture che espone i temi che poi saranno declinati, coniugati, realizzati nell’opera; segue Cornici concentriche, titolo che, pur essendo a tutti gli effetti espressivo, mantiene un’informazione compositiva (la sua coda è il lirico e cullante corsivo di Trascrizione inversa); stessa cosa si può dire per Cartografia assiale. Ci sono poi poesie che son riscrittura l’una dell’altra, come variazione o ripresa di sezioni, derivazioni di matrici bouleziane non astratte. C’è il sonetto: Il letto pieno di mio nonno; e poi un altro sonetto: Il letto pieno di mio padre. Si chiudono entrambi con un riferimento alla salvezza. Al loro interno è all’opera un lavorìo d’elementi specifici non speculare, ma automaticamente dettato come da un destino di trasmissione ereditaria passante da sonetto a sonetto, da padre a padre; e poi a ritroso: quasi un canone cancrizzante che ossessivamente dice: ma fin est mon commencement et mon commencement ma fin.
Portoferraio, 17 settembre 2022
Stimmate di San Francesco d’Assisi
31 Luglio 2022
Rassegna – La recensione a “Peste e Guerra” di Pasquale Di Palmo uscita su «Ytali» il 30 luglio 2022
di Pasquale di Palmo
Condurre uno / a uno a uno nel dolore. E arrancando / se ti vedesse Luca. Se ti vedesse / lo Scarabeo arrossirebbe. E anche / tu nella jacuzzi. In questa vasca / trovi dell’acqua per ribellarti.
In questa manciata di versi, tratta da Jacquerie I, con uno dei suoi tipici slittamenti di senso, Paolo Fabrizio Iacuzzi associa il proprio cognome a quello della celebre vasca idromassaggio, concepita come una sorta di arca veterotestamentaria che racchiude presenze reali e, al tempo stesso, fantasmatiche. Quella di decontestualizzare un oggetto rispetto alla sua funzione originaria è operazione consueta nel poeta pistoiese, incistandosi nel cuore stesso del suo opus magnum, derivato da una serie di esperienze eterogenee: in primis Bigongiari, Luzi, Giudici, “le cinque dita della mano” Cucchi, De Angelis, Carifi, Viviani, Conte, ma anche Frank O’Hara, Basquiat, Keith Haring. Tuttavia, l’oggetto che meglio rappresenta la sua poetica è la bicicletta, ricorrente in tutta la sua produzione poetica, vero e proprio Leitmotiv che si snoda dalla raccolta d’esordio, Magnificat (1996) fino all’ultima, Consegnati al silenzio (2020). D’altro canto, il tema della bicicletta è stato ampiamente sviluppato in ambito letterario: si pensi, tanto per fare qualche esempio, al velocipede fantascientifico che contrassegna l’esperienza delirante del Supermaschio di Jarry, lui stesso ciclista ante litteram, e alla figura di Annina, madre di Caproni, la cui giovinezza mitica è affidata a una bicicletta che sembra lievitare lungo le strade di Livorno.
Iacuzzi arriva addirittura ad antropomorfizzare la bicicletta attraverso il profilo della nonna che si chiamava Bianca: la bicicletta Bianca, presente in Magnificat, perde così la funzione aggettivale presente nella prima lezione a stampa (“la bicicletta bianca”) per rimodularsi su un patronimico (un matronimico?) che non inficia tuttavia una versione polisemica. La bicicletta, con i suoi “cicli” termine ambivalente, compare insistentemente in altri topoi dislocati non solo nella silloge d’esordio, arrivando a subire una significativa metamorfosi in Il passo degli sfollati, tratto dalla seconda raccolta Jacquerie (2000). In tale testo si descrive la deportazione dall’Elba alla Germania dopo l’8 settembre che il padre e altri profughi patirono a opera dei tedeschi, venendo trasformata in quella di “biciclette / stipate una dentro l’altra” in un vagone che non può non rammentare la catabasi della Shoah cadenzata attraverso il suono di innumerevoli campanelli. Parecchi sono al riguardo i riferimenti alla bicicletta: dal “triciclo rosso” che dalla Bicicletta Bianca approda a Indianapolis, accolta in Patricidio (2005), alla Bici dei fidanzati fino all’esperienza di un piratesco, pilatesco Pantani che scala il Mont Ventoux con un fumettistico “Pant pant” in Magliarosa Frankenstein, nella raccolta Folla delle vene (2018). D’altro canto, è significativo che La bici dei fidanzati sia posta come didascalia di una sezione (o microsezione) intitolata La bici con le scarpe, quasi a rappresentare la condizione assurda di un oggetto che da mero veicolo tende a umanizzarsi e trasformarsi, in seno a un processo mimetico dai tratti distopici, nel medesimo fruitore di quel veicolo. Ma anche in Rosso degli affetti (2008) non mancano particolari sulla “bicicletta che porta dal Corso alberato / alla Fortezza delle Armi” (Il soldato Beslàn).
Uno strumento indispensabile per accostarsi alla poesia di Iacuzzi è ora rappresentato dall’antologia Peste e guerra. La poesia non salverà la vita che raccoglie un florilegio di testi che va dal 1982 al 2022. Il libro, ottimamente curato da Michele Bordoni, presenta un’essenziale scelta di poesie suddivisa in sette parti numerate, corrispondenti alle sei singole raccolte pubblicate dall’autore pistoiese, suggellate da un epilogo contenente testi tratti da una silloge inedita, in parte anticipata nel volume collettaneo Sospeso respiro, curato da Gabrio Vitali, incentrato sul tema della pandemia.
Il motivo della metamorfosi, della trasfigurazione, sempre in bilico tra sacro e profano, così pregnante soprattutto nella fase più recente del percorso poetico di Iacuzzi – da tavolo anatomico a Wunderkammer –, si manifesta attraverso una serie di figure, spesso richiamanti una genealogia mitica: il ”vandalo” Gio Batta Iacuzzi, il cui nome è riportato, insieme alla data 1816, in una colonna dello Spedale del Ceppo di Pistoia, il cui fregio in ceramica invetriata di scuola robbiana rappresenta le sette opere di misericordia, ispiratrici della sequenza Pietra della pazzia; Francesco Iacuzzi, omonimo del padre e medico della peste ottocentesco ricordato in Vibrio Cholerae Iacuzzi, contrapposto al modello del nonno materno che forse discende “da quel Filippo che scoprì il colera” descritto in Vibrio Cholerae Pacini. A latere una reiterata investigazione del corps sans organes di artaudiana memoria (con, sullo sfondo, la dimensione algolagnica presente nell’Histoire de l’œil di Bataille, illustrata da Bellmer), non di rado associata a figure eccentriche come quella del pietrificatore bellunese Girolamo Segato o del ceroplasta Gaetano Zumbo. In quest’ottica vanno intesi i riferimenti a Sade, che sfumano in quelli della supposta antenata Laura, intorno alla cui aura si accanisce l’inquietudine da amanuense del Petrarca, o al Frankenstein di Mary Shelley, volto in un’accezione che spazia rocambolescamente dalla tragedia alla parodia e che rinvia allo scempio espressivo compiuto dai film dell’orrore a cavallo tra anni Cinquanta e Settanta. Ma altri profili si stagliano nelle raccolte, come quello del compianto Luca Giachi, paragonato a Palinuro per non aver raggiunto “la terra promessa della maturità” o quello dello stesso autore, che ricorre al diminutivo Iac e si smembra nel doppio di Paolo e Fabrizio, memore forse della duplice identità di Alighiero & Boetti che si stringono la mano in una celebre quanto fuorviante immagine gemellare.
Queste considerazioni testimoniano un’interpretazione complessa, stratificata, a tratti debordante rispetto al testo originario. Si tratta di una sorta di unicum, di un procedimento personalissimo e anomalo, le cui ascendenze storiche e letterarie diventano di non sempre facile decrittazione, ricche come sono di criptocitazioni, quasi si trattasse di un elenco di geroglifici che solo un illuminato Champollion sarà in grado di interpretare tramite la rivelazione della stele di Rosetta. Senz’altro si impone una deformazione di impronta surrealistica, anche se innervata intorno a barlumi di senso che contrassegnano tale poetica in maniera decisiva: “Per non avere niente / se non trascrivere in versi il male dentro le sillabe” (La trascrizione inversa). Tale spunto, dove risuona un’eco di La vita in versi, sembra anticipare Campari per campare, dedicato a Giudici, del quale si richiama il titolo della raccolta Quanto spera di campare Giovanni. Oltre a immagini e temi che ricorrono quasi ossessivamente, trasferendosi da un componimento a un altro, da una raccolta a un’altra, la fedeltà a queste radici mitopoietiche si manifesta attraverso una ricerca prosodica che sembra perseguire un obiettivo rivolto a un sostrato metrico che sconfina in un timbro di voce quanto mai riconoscibile e persuasivo. Il ricorso insistito alla quartina – ma anche al distico e alla terzina – o a componimenti che sembrano rifarsi a modelli canonici come il sonetto sono tuttavia “erosi” dall’interno, pressoché snaturati, mancando del loro riferimento più ovvio (l’endecasillabo o, nel caso del respiro più ampio del poemetto, il verso martelliano a cui ricorre Pasolini nelle Ceneri di Gramsci), ricordando il lavoro di distorsione compiuto da Bacon intorno all’anatomia di corpi in movimento o rilevato da Baltrušaitis nelle sue anamorfosi. Rimane lo scheletro del sonetto, uno pseudosonetto basato su un verso libero tendente alla dimensione prosastica che, oltretutto, rivendica la propria inadeguatezza rinnegando ogni costrizione interna, comprese rime baciate o alternate nelle rispettive coppie di quartine e terzine. A volte solo la sprezzatura dell’enjambement si contrappone a un approccio prosastico che aspira a debordare dal proprio alveo espressivo.
Segue una lunga intervista all’autore effettuata da Bordoni, il cui encomiabile lavoro si segnala per precisione e conoscenza approfondita della materia trattata. Qui si chiariscono molti aspetti della poetica di Iacuzzi, a cominciare dalla particolare forma di costruzione e decostruzione delle singole raccolte, nonché della profonda correlazione esistente fra le stesse. I richiami tra un titolo e l’altro, sia di ordine tematico che strutturale, sono infatti molteplici, procedendo per empatia o contrapposizione: “Folla delle vene è il libro della madre, mentre Consegnati al silenzio è quello del padre”, dichiara l’autore nell’intervista. Ma si pensi anche al progetto articolato della “vita a quadri”, in cui ogni raccolta corrisponde a un differente colore: bianco per Magnificat, blu per Jacquerie, giallo per Patricidio, rosso per Rosso degli affetti, rosa per Folla delle vene, verde per Consegnati al silenzio. È significativo che Iacuzzi asserisca che “la Storia si intreccia alla mia storia”, in una sorta di osmosi tra dimensione privata e retaggio storico che, senza mai scadere in un afflato cronachistico che non sia adulterato da esiti allucinati (vedi la guerra in Bosnia o le Torri Gemelle), rappresenta il miglior viatico per parlare oggigiorno di poesia civile senza scadere nella deriva ideologica che ha irretito l’opera di autori di primo piano come Fortini e Pasolini.
Paolo Fabrizio Iacuzzi,
Peste e guerra. La poesia non salverà la vita
introduzione e dialogo a cura di Michele Bordoni,
Interno Poesia 2022, euro 18,00.
20 Luglio 2022
di Alberto Fraccacreta
Il cuore dei versi dell’autore pistoiese, in cui ricorrono ripetizioni e anafore, è nella lotta degli opposti «che si toccano fino a trovare un’insperata unità nella divergenza». Come testimonia l’antologia che ripercorre la sua poesia nell’arco di quarant’anni. Con un dialogo a cura di Michele Bordoni
Peste e guerra. La poesia non salverà la vita di Paolo Fabrizio Iacuzzi (introduzione e dialogo a cura di Michele Bordoni, Interno Poesia Editore, 292 pagine, 18,00 euro) è un’antologia che ripercorre la densa attività lirica dell’autore pistoiese nell’arco di un quarantennio (1982-2022). L’itinerario procede da Magnificat (1996) a Consegnati al silenzio (2019) e Sospeso Respiro. Poesie di pandemia (2020), con l’inserzione di qualche significativo inedito come Tribunale delle Ortensie, posto a mo’ di prologo – risalente appunto all’inizio degli anni Ottanta –, e l’intenso epilogo, Palinuro Mariupol che fa riferimento alla guerra in Ucraina: «Palinuro l’amico d’infanzia. Trasfuso in noi / per virus nasale. Se il nocchiero per teatro / si cela dentro un anagramma. Per questo / nuovo esodo col grande caduto insepolto. // Fosse comuni e lapidi non scritte. Mai erette / nella terra nuda. Grigioverde senza le toppe / di colore. Taras Bulba tornato dopo la peste / per il tempo dell’Apocalisse».
Il cuore dei versi di Iacuzzi è ravvisabile nel concetto eracliteo di pólemos: cioè nella pervicace lotta degli opposti, nelle contrapposizioni che antinomicamente si toccano fino a fondersi, fino a trovare un’insperata unità nella divergenza. Come osserva il poeta a proposito di Magnificat nell’appassionante dialogo con Bordoni, «questo canto del Magnificat, della Vergine, che è un canto mistico, di ringraziamento, di lode, in realtà viene inserito all’interno di una sorta di rovescio di sé stesso, perché credo che in me la parola alta, la parola mistica, sacra, abbia sempre un rovesciamento nell’aspetto parodico del linguaggio. Questa cosa, come direbbe Bachtin, è poi l’essenza del carnevalesco, del riso, del comico e, fin dal mio primo libro, si traduce nell’idea dell’epica quasi picaresca che mette in scena la “verità” dei vinti e degli ultimi». Lo sguardo rivolto ai più deboli prende corpo, ad esempio, nel Coro di migranti o in Il passo degli sfollati, ma la tensione gnoseologica fondamentale della poesia di Iacuzzi possiede sempre una sfumatura metafisica, per cui la reale risoluzione delle diversità sociali è possibile soltanto nell’eschaton, nei tempi ultimi. Metafisico e a tratti surrealistico è il linguaggio che, ancora, cresce sul contrasto e sulla diffrazione: come ricorda nuovamente Iacuzzi, «non c’è nessuna ispirazione che non nasca dalla parola, dalla differenza di parole, da questa fessura che a un certo punto di apre con uno squarcio» (emblematico è il caso del lapsus e del jeu de mots in Germania-Germinaia e «Vajont-Vaioni»).
Segnato profondamente da letture icastiche e necessarie – la lezione di Bigongiari e Luzi, la mitologia greca, la tradizione iconologica e la filosofia occidentale, il cinema di Tarkovskij, Frankenstein, la Toscana della rinascenza –, il pensiero poetante di Iacuzzi, che si traduce empiricamente in versi lunghi, caratterizzati da ipotassi, punti fermi e fitti enjambement, aggrega su di sé «cornici concentriche» tese a inquadrare il «parlamento d’amore». In questo amalgama di identità e sparizioni familiari non avare di nomi propri, in cui troneggiano il Padre e la Madre, nel riannodarsi dei temi d’attualità attraversati dalla «bicicletta Bianca» – la guerra di Bosnia e quella ucraina, l’Aids e il Covid-19, tutte le discriminazioni in atto – emerge timidamente ma nitidamente il Christus patiens, figura insuperabile di abnegazione e difesa dell’alterità, nell’idea liturgica di una poesia che «corrisponda all’esecuzione di un rito, anche nelle sue formule di ripetizione, di anafora».
*
Magnificat
Il ponte di Mostar avanza
nelle macerie di questo azzurro.
Illumina. Prende la tazza
di caffè freddo nel frigo.
Mattina dopo mattina.
Con la paletta rossa piantata
nella polvere nera. Con la polvere
acerba di questi morti io
mi copro. Attenti alla storia
di fanti che scattano attenti
come angeli legati
a questo ponte di carne.
Da una sponda all’altra del pube
galleggiano morti.
Un fiume di desiderio li porta qui.
Abbracciaci tutti.
Tazza della spirale accesa
dalla vergogna. Io si leva qui
tra vestiti e bianchi
corsetti. Guardo meglio
di te che spari in questa
tivù accesa mentre
mi scaldi.
Paolo Fabrizio Iacuzzi