Kathleen Jamie al 63° Premio Internazionale Ceppo – PROGRAMMA
Ceppo Piero Bigongiari Lecture – Thinking Poetry 2019
a cura di Paolo Fabrizio Iacuzzi
In collaborazione con la rivista «Semicerchio», Kathleen Jamie tiene il 22 marzo 2019, una lezione appositamente scritta per il Premio Internazionale Ceppo: The Four Strands of Life and Art. La lecture è a cura di Paolo Fabrizio Iacuzzi, presidente e direttore del 63° Premio Letterario Internazionale Ceppo Pistoia, e di Giorgia Sensi, che l’ha tradotta.
Scritta in occasione del conferimento del Premio Ceppo Internazionale Poesia “Piero Bigongiari” 2019 e letta a Firenze (Consiglio regionale della Toscana) e a Pistoia (Biblioteca San Giorgio del Comune di Pistoia) il 22 e il 24 marzo 2019 nell’ambito del Ceppo Biennale Poesia.
La lecture è in collaborazione con la rivista di poesia comparata «Semicerchio» e Andrea Sirotti, redattore della rivista e giurato del Premio Internazionale Ceppo.
Pubblicata anche come introduzione a Kathleen Jamie, Falco e ombra. Autoantologia (“Hawk and Shadow. Self-Anthology”), traduzione e cura di Giorgia Sensi, Interno Poesia, 2019.
Il volume è promosso dal 63° Premio Letterario Internazionale Ceppo Pistoia con il sostegno della Fondazione Cassa di Risparmio di Pistoia e Pescia e di Chianti Banca.
L’inizio della lezione
“I quattro fili della vita e dell’arte”
Sono emozionata e felice di accettare il vostro generoso invito, e di presentarvi qualcosa del mio lavoro in poesia e prosa non fiction.
Non posso affermare di essere a mio agio, qui a parlare di me stessa, e ripercorrere la mia vita di scrittrice. Sono la stessa persona che, adolescente, cominciò a scrivere poesie di nascosto, quarant’anni fa? Quella ragazza avrebbe mai potuto prevedere dove l’avrebbero portata quelle prime poesie? Naturalmente no. Ero un’adolescente in una famiglia molto normale, nella periferia di Edimburgo, in Scozia. Una famiglia nient’affatto di letterati. Ma un’adolescente in grado di capire che là, là fuori, c’era un mondo vasto, e sentiva che sarebbe esplosa se fosse rimasta intrappolata in un lavoro noioso in una città noiosa…
Così, per un qualche motivo, cominciai a scrivere poesie in gran segreto. Cominciai all’età di 14 o 15 anni, come fanno molti giovani. Ben presto cominciai a pubblicare, nessuno mi aveva impedito di farlo! E vivendo vicino a una grande città ebbi la fortuna di trovare altri scrittori, di formare un piccolo gruppo…
A tempo debito, andai all’università, la prima della mia famiglia. E così continuò, quella strana vita che avevo scelto di fare, scrivendo e sbarcando il lunario. Ma ci tenevo, a scrivere poesie ci tenevo molto. E vennero pubblicate.
Avevo pubblicato già diverse raccolte poetiche quando, non ancora quarantenne, decisi di provare a scrivere un breve saggio. Perché? A quell’età avevo bambini piccoli e i soldi non bastavano mai. Se allargavo i miei orizzonti, speravo anche di aumentare le entrate. Ora al mio attivo ho due libri di saggistica di successo e un terzo è in arrivo, e la mia poesia – beh, è proprio quella che mi ha portato qui. Quindi scrivo poesia e prosa e…
Mi è stato detto che il mio saggio Light / Luce[1] (in Sightlines, pubblicato nel 2012) si legge quasi come una poesia in prosa; inoltre ho scritto poesie in prosa in Frissure,[2] edito nel 2013. In effetti, ultimamente ho sperimentato una forma ibrida: un “saggio” di sole settecento parole, una “poesia” in prosa. Nel mio prossimo libro ci saranno diversi pezzi di poche centinaia di parole. Perché dire di più?
Così, queste sono le forme che il mio lavoro ora ha preso: poesia, prosa non fiction, e una sorta di ibrido tra le due. Continuo a credere che la poesia sia l’arte più alta, e se dovessi scegliere, sceglierei la poesia. Quindi cercherò di parlare prima della mia poesia; almeno del mio lavoro più recente, quello degli ultimi quindici o venti anni, quando ho compiuto quarant’anni. Non si dice forse che la vita comincia a quarant’anni?
Prima di farlo, però, dovrei dire che trovo strano dover parlare della mia poesia separata dalla prosa, e di costruire questo discorso in ordine cronologico. Il vissuto non è così. La mia esperienza vissuta, come scrittrice, come essere umano, vede i vari fili di vita e arte che si intrecciano gli uni con gli altri, e vede il tempo più come una spirale che una freccia. E poi, naturalmente, si intrecciano con il resto della mia vita: i bambini, i genitori, le relazioni, i soldi, la natura, i viaggi… Ma farò del mio meglio.
[1] In Falco e ombra, cit., p. 80.
[2] Frissure, è una parola coniata da Brigid Collins, quasi per caso, afferma Kathleen Jamie, che sta tra frisson e fissure (N.d.T.).
Kathleen Jamie vince il Premio Ceppo Internazionale Poesia “Piero Bigongiari” 2019 per una scrittura in versi e in prosa dove il pensiero segue sentieri non narrativi, e semmai insegue le linee di fuga di una musica turbata, come un campanello d’allarme dell’incanto e dell’idillio. In ogni poesia c’è una crepa che attraversa il quadro, un punto che si corrompe, si scolorisce, si disfa facendo apparire il disincanto di un duro presente: l’inesorabile andare avanti degli anni, la malattia che mina l’esistenza lascia un senso di estraneità, il tempo personale strappato dalla cura dei figli, il pensiero per una madre sottomessa a un padre possessivo, il senso di colpa per le insufficienti cure prestate al padre malato, un amore coniugale limitato ai suoi elementi formali, l’inadeguatezza alle logiche commerciali e globali del mondo. C’è un senso di vuoto, di estraneità a se stessi e alla natura stessa, una progressiva perdita di senso, una scissione tra se stessi e la propria anima, come nell’emblematica poesia Falco e ombra che dà il titolo all’autoantologia, commissionata a Kathleen Jamie dal Premio Ceppo attraverso Giorgia Sensi, sua traduttrice e amica.
Pubblicata da Interno Poesia per la prima volta in Italia in edizione bilingue, i testi che Jamie ha scelto sono introdotti dalla “Ceppo Piero Bigongiari Lecture 2019”, intitolata I quattro fili della vita e dell’arte. Jamie ripercorre con quattro parole chiave – poesia, prosa, Scozia, donna – la sua scrittura e sottolinea: “La mia esperienza vissuta, come scrittrice, come essere umano, vede i vari fili di vita e arte che si intrecciano gli uni con gli altri, e vede il tempo più come una spirale che una freccia. E poi, naturalmente, si intrecciano con il resto della mia vita i bambini, i genitori, le relazioni, i soldi, la natura, i viaggi…”. Kathleen Jamie ci guida così verso il grado zero di una muta accettazione del dolore, con una scrittura limpida e a tratti ipnotica, che fa di lei una delle maggiori poete di lingua inglese di oggi.
A partire dalle poesie scritte in La casa sull’albero, mette in scena figure leggendarie come la regina di Saba o la donna sepolta con la testa in giù, che vengono proiettate sullo sfondo della quotidianità con sottile e obliqua ironia. A partire dalle prose di Findings e dalle poesie scritte dopo il 2004, Jamie pone al centro non la natura selvaggia o fiabesca ma una chiara intelligenza del mondo dalla quale tuttavia gli uomini vivono in una distanza incolmabile. Poi la natura diventa sempre più altra rispetto all’incrinarsi dell’armonia tra sé e gli altri, per cui all’io non resta che “rammendare” come un ragno i buchi della vita. Infine, nelle prose di Frissure (“fresure” si potrebbe dire con un neologismo) la guarigione dal cancro al seno si trasforma in una resa “alla benigna forza del mondo”, nella consapevolezza dell’accettazione della morte come resa al corso della natura.